martedì 21 luglio 2009

06. La teoria dei bisogni

Il bisogno è qualcosa che attiene alla vita e riguarda tutti gli esseri viventi, anche se opera in maniera diversa, a seconda delle specie. Gli animali inferiori agiscono prevalentemente sulla scorta di schemi geneticamente programmati e restano relativamente impermeabili alle evidenze dell’esperienza. Così, un insetto soddisferà i propri bisogni ripercorrendo, sempre e invariabilmente, le stesse tappe comportamentali alle quali è predisposto. L’apprendimento, invece, gioca un ruolo sempre più rilevante a mano a mano che si sale nella scala gerarchica animale. Se, ad esempio, poniamo un cucciolo di cane affamato in un ambiente a lui sconosciuto, l’animale esplorerà ogni punto dello spazio alla ricerca di cibo ma, una volta che lo abbia trovato, successivamente, tutte le volte che avrà fame si dirigerà direttamente verso quel punto, saltando la fase esplorativa preliminare. In questo caso il cane ha modificato il suo comportamento sulla scorta di un’esperienza precedente.

I bisogni come motivazioni all’azione
Anche l’individuo umano si muove e agisce perché ha dei bisogni. “La fame, la sete, la nudità sono i primi tiranni che ci costringono ad agire” (MANDEVILLE 2000: 264). “In sostanza, tutta l’attività complessa della psiche umana è legata in ultima analisi alla tendenza a soddisfare nel modo migliore e più felice i suoi diversi bisogni” (SUDAKOV 1976: 246). Se non avesse bisogni, l’uomo non avrebbe nemmeno scopi, né emozioni, orgoglio, volontà di potenza, solidarietà, altruismo, generosità, filantropia, risentimento e tutte le altre forze che lo spingono all’azione, né avrebbero senso il gruppo, la società, la politica, lo Stato, le leggi, la giustizia, la libertà o l’etica, e la vita stessa. Se l’uomo avesse tutto ciò che desidera si adagerebbe in una pigrizia invincibile ed entrerebbe in uno stato non molto diverso dalla morte. Questo concetto è illustrato in modo magistrale da Mises (1990: 139):
“In generale gli uomini agiscono soltanto perché essi non sono completamente soddisfatti. Se godessero di una felicità completa essi sarebbero senza volontà, senza desiderio, senza azione. L’azione sorge soltanto dalla necessità, dall’insoddisfazione. E’ un tendere finalizzato verso qualcosa. Il suo fine ultimo è sempre di uscire da una condizione che è percepita come carente: soddisfare un bisogno, raggiungere la soddisfazione, aumentare la felicità”.
L’intero comportamento di un individuo dev’essere, dunque, spiegato alla luce dei suoi bisogni e interpretato “come un’azione volta a realizzare certi fini” (BOUDON 1980: 32). In realtà, i bisogni non costituiscono l’unica causa dell’azione umana. Potremmo aggiungere anche i vizi (l’invidia, la vanità, l’ambizione, la megalomania) e le virtù (la generosità, l’altruismo, l’amore, la simpatia). In questa sede, tuttavia, ci occuperemo solo dei bisogni e del pensiero, per la verità altalenante, che l’uomo ha sviluppato intorno ad essi nel corso della storia.

Il ruolo della cultura
A differenza degli animali più semplici, nell’uomo il ruolo dell’apprendimento prevale a tal punto da oscurare la propria componente biologica. Così, “in una società capitalistica, basata sul principio del successo individuale attraverso la competizione, il denaro diventa quasi inevitabilmente una preminente meta culturale” (BÉTEILLE 1981: 117), che l’uomo persegue ancor prima del cibo e della sicurezza, elevandolo a scopo per eccellenza e a bene primario. La nostra ricerca di lavoro, il nostro desiderio di carriera, le nostre scelte, le nostre ambizioni e i nostri investimenti non possono prescindere dalla necessità di procurarsi denaro. Ma il denaro non è tutto. Un ideale di santità, per esempio, può modificare, ma anche annullare e sovvertire i modelli culturali dominanti e perfino gli schemi innati di comportamento, tanto che un uomo può rinunciare a ciò che desidera a beneficio di altri. L’uomo è l’unico animale dotato di questa facoltà, l’unico in grado di fare uno sciopero della fame, rifiutare un’eredità, imporsi rinunce, penitenze e sacrifici di ogni genere, a causa di un’idea.

Il comportamento razionale
Quale che sia la natura del bisogno, la carica emotiva da esso generata spinge il soggetto ad elaborare una strategia d’azione, che può essere pulsionale, razionale o mista. Ciò che distingue l’uomo dagli altri animali è la prevalenza dell’azione razionale, che Max Weber suddivide in quattro categorie di modelli puri: “razionale rispetto allo scopo”, quando valuta razionalmente i mezzi necessari per raggiungere un obiettivo; “razionale rispetto al valore”, quando si limita a tener conto del valore in sé dell’atto e prescinde dalla valutazione delle conseguenze; “affettiva”, quando è motivata dai sentimenti del momento; “tradizionale”, quando è improntata dall’abitudine (1999: 21-2). Anche se è raro che un’azione rientri esclusivamente in uno dei suddetti modelli, in ogni caso, essa obbedisce ad una logica, che può essere colta e compresa da terzi: questa è l’acquisizione di Weber e di tutto il pensiero moderno.
L’organismo umano funziona in un modo che fa venire in mente il sistema di navigazione satellitare. Quando noi impostiamo nel navigatore della nostra auto una destinazione, il satellite ci guiderà verso la meta, ricalcolando il percorso ogni volta che dovessimo commettere degli errori. Allo stesso modo, “il sistema nervoso centrale, in presenza di una motivazione, programma continuamente il risultato finale con tutti i suoi parametri, utilizzando il suo patrimonio genetico e le esperienze accumulate nel corso della vita individuale” (SUDAKOV 1976: 191). Ogni volta che troviamo un ostacolo nel nostro cammino, si accende in noi un’emozione negativa (un nuovo bisogno), che elabora una nuova strategia comportamentale e, quando l’obiettivo è finalmente raggiunto, l’insorgenza di un’emozione di appagamento ci dice che possiamo ritenerci soddisfatti e metterci in una condizione di quiete psichica. Le emozioni, insomma, svolgono la stessa funzione del satellite: ci guidano verso la meta.

Teoria dei bisogni
Partire dai bisogni è fondamentale per comprendere il comportamento umano, ed è sorprendente che di essi oggi si senta parlare assai poco. Fino a qualche decennio fa, la teoria dei bisogni è stata al centro del pensiero di antropologi e psicologi, come B.K. Malinowski, Clark Hull, Kurt Lewin, Henry A. Murray e Abraham H. Maslow, e ancor di più di economisti, come Karl Marx, Adam Smith e Carl Menger. Dopo gli anni Cinquanta, invece, il concetto di bisogno è “relativamente scomparso dalle più attuali teorizzazioni del comportamento motivato” (LUCCIO 1991: 540). Questo abbandono, lamenta Riccardo Luccio, è immotivato e sarebbe ora che nuovi pensatori rimettano il bisogno “al centro della teorizzazione del comportamento motivato” (1991: 540).
Ma che cos’è precisamente un bisogno? Premesso che “la sua definizione è tutt’altro che univoca e varia da autore ad autore” (LUCCIO 1991: 536), mi limito a descrivere il significato che ad esso verrà attribuito in questo libro. Col termine “bisogno” intendiamo ogni esigenza cosciente di un individuo, indipendentemente dalla causa che l’abbia determinata, in grado di spingerlo all’azione. Benché possano assumere nomi diversi (interessi, desideri, motivazioni, voglie, tendenze, appetiti, inclinazioni, gusti, emozioni, sentimenti, passioni, scopi, sogni, ideali), in ogni caso, i bisogni rappresentano “specifici stati dell’organismo che lo costringono ad agire in una determinata direzione” (SUDAKOV 1976: 8).

Classificazione dei bisogni
I bisogni previsti dalla nostra Costituzione possono essere suddivisi in quattro gruppi: autoconservazione, sicurezza, dignità e partecipazione. Essi non sono importanti allo stesso modo e non hanno la stessa priorità. Li distingueremo allora in primari (o naturali o innati o biologici) e secondari (o culturali o acquisiti o sociali). I bisogni primari (fame, sete, sonno, riposo, attività, respirazione, mantenimento dell’omeostasi) sono relativamente semplici e numericamente limitati. Creati dalla natura, essi sono comuni a tutte le specie animali e a tutti gli uomini di ogni luogo e ogni tempo e, perciò, possiamo chiamarli universali. Al contrario, i bisogni secondari sono una creazione umana e si caratterizzano per una relativa complessità e variabilità. Di norma, essi si fondano su quelli primari, anche se “possono differire profondamente” (SUDAKOV 1976: 25). Nel loro complesso i bisogni umani sono innumerevoli e presentano infinite sfaccettature. Qui ci limitiamo a prenderne in considerazione alcuni fra i più importanti, cominciando da quelli primari.

I bisogni innati
1. Cibo (bisogno di nutrimento). E’ il bisogno per eccellenza, comune a tutti gli esseri viventi, fin dall’inizio dei tempi. Il cibo fornisce l’energia necessaria per lo svolgimento dei processi biologici ed è alla base della vita stessa. Dal momento che i prodotti alimentari sono legati alla terra, si può ben comprendere perché il cibo venga storicamente associato al controllo di un territorio.
2. Riparo (bisogno di alloggio e abbigliamento). Il cibo non basta a mantenere in vita un individuo: è anche necessario che egli sia in grado di trovare qualcosa (riparo, nido, tana, grotta, tenda, casa, indumenti) che lo protegga dalle condizioni climatiche avverse oltre che dall’attacco dei predatori.
3. Salute (bisogno di preservare il buon funzionamento di tutte le parti del corpo, e di mantenerle in equilibrio). La salute è un concetto generale che indica, per l’appunto, una condizione di equilibrio fisico (fra cellule, organi e apparati) e psichico (autostima e relazioni sociali).
4. Cospecifici (bisogno di un gruppo). L’individuo umano è incapace di provvedere da se stesso alle proprie necessità. Ha bisogno degli altri, e da questo bisogno prendono origine la famiglia, i gruppi e le società estese. La dimensione sociale dell’individuo è così importante che, in sua assenza, egli perde la pienezza della sua “umanità”.
5. Procreazione (bisogno di perpetuare i propri geni). Se gli individui non si riproducessero, la specie umana si estinguerebbe con la loro morte. In fondo, la procreazione non è un’esigenza strettamente individuale, bensì uno stratagemma messo in atto dalla natura allo scopo di conservare la specie. A tale riguardo, l’individuo si comporta come uno strumento che si muove sotto la spinta di due potenti forze biologiche: il sesso e l’irresistibile attrazione che il bimbo esercita sulla madre. Entrambe queste forze sono alimentate dal sistema neuro-ormonale sottocorticale e sfuggono, in larga misura, al controllo cosciente dell’individuo.
6. Difesa/Attacco (bisogno di ricorrere alla forza, o ad altri mezzi, per proteggersi dai pericoli e modificare l’ambiente a proprio favore). E’ di quotidiana osservazione il fatto che, per soddisfare i propri bisogni, l’uomo si trova a competere, sia con individui appartenenti a specie diverse sia con cospecifici, e, pur di raggiungere i propri obiettivi, ricorre ad ogni mezzo possibile: simulare, ingannare, depistare, tentare mediazioni pacifiche o azioni violente, aggredire o minacciare, agire da solo o cercare alleanze, sottomettere, depredare, uccidere o, più semplicemente, avvalersi dei segnali che emanano dal proprio corpo o delle proprie capacità dialettiche.
7. Comunicazione e linguaggio (bisogno di scambiarsi informazioni). Più un individuo è evoluto, più sono elaborati i suoi sistemi di comunicazione, che gli servono per meglio controllare l’ambiente naturale e sociale, da cui egli trae le risorse necessarie per la vita.
8. Divisione del lavoro (bisogno di organizzare le attività del gruppo secondo ruoli individuali specifici). Nella pagina A della lavagna genetica la natura ha diviso i ruoli dei due sessi, riservando alla femmina quello dell’allattamento e della cura dei piccoli, al maschio quello della conquista, del controllo e della difesa del territorio. La restante divisione del lavoro risponde a bisogni di tipo culturale e ad esigenze di tipo organizzativo.
9. Amore (bisogno di affetto). In un ambiente in cui imprevisti di ogni genere sono dietro l’angolo, è importante per l’individuo poter confidare e condividere le proprie emozioni, oltre che sentirsi circondato da qualcuno che sia disposto a soccorrerlo in caso di difficoltà. Amare significa costruire il proprio progetto di vita con la partecipazione (attiva, cosciente e paritetica) di altri.
10. Merito (bisogno di essere apprezzato). Il massimo desiderio di un individuo è quello di essere amato non per pura pietà, ma perché se lo merita. Egli non vuole sentirsi un oggetto di compassione, ma un soggetto importante, con cui gli altri trovano vantaggioso e gradevole stabilire dei rapporti.
11. Autoaffermazione (bisogno di primeggiare, volontà di potenza). Secondo Adler, lo scopo ultimo di ogni individuo è quello di dimostrare il proprio valore e “primeggiare sugli altri” (1994: 40). “Diventare un «Grande Uomo», termine generalmente adottato dagli etnografi per descrivere la posizione al vertice della gerarchia sociale, è il fine della maggior parte degli uomini” (SCHNEIDER 1985: 248). Il bisogno di occupare i livelli più alti della gerarchia sociale risale alla preistoria dell’uomo e tradisce la tendenza a procurarsi una posizione privilegiata di accesso alle risorse alimentari e ai partner sessuali.
12. Autostima (bisogno di sentirsi utile). L’individuo sta bene solo se ha una concezione positiva di sé e se ritiene di occupare il posto che si merita nella gerarchia sociale.

I bisogni appresi
I bisogni 1-12 (chiamati anche innati, perché fanno parte del corredo genetico di ciascun individuo) sono sotto la stretta dipendenza delle informazioni scritte sul lato A della lavagna genetica e sono comuni a tutti gli esseri umani, pur con delle varianti che costituiscono una sorta di carta d’identità della specie d’appartenenza. Essi sono considerati fondamentali, perché sono al servizio della vita, ed esigono soddisfazione incondizionata. Ma non sono gli unici. Esistono, infatti, altri bisogni, che vengono chiamati secondari o culturali, perché si affermano nel corso dell’esistenza individuale e della storia umana, e sono dipendenti dall’apprendimento. In questo caso, l’essere “secondario” non significa essere “meno importante”, perché, in realtà, l’importanza dei bisogni secondari è variabile, e può, in qualche caso, anche superare quella dei bisogni primari. I bisogni culturali sono infiniti, come i sogni e l’immaginazione. Ne riportiamo alcuni fra i principali, in rapida carrellata.
13. Autonomia (bisogno di sentirsi soggetto). L’autonomia va conquistata e perciò richiede una volontà: non si può diventare autonomi se non si desidera diventarlo. Il bisogno di essere se stessi è comparso recentemente nella storia dell’uomo.
14. Vita sociale ordinata (bisogno di regole). In un mondo caotico nessuno potrebbe essere sicuro di niente e tutti vivrebbero in uno stato di incertezza e paura. Ecco perché l’uomo preferisce vivere in società ben ordinate e poco gli importa se l’ordine dipende da ben codificate norme di legge o dalla volontà di uomini “superiori”.
15. Giustizia (bisogno di equità e del rispetto delle regole). Chi vive in una società ordinata si aspetta che le norme stabilite siano improntate ad equità e siano fatte rispettare dall’autorità costituita, anche con la minaccia di sanzioni. In ultima analisi, il bisogno di giustizia risponde all’esigenza dell’individuo di essere trattato secondo la propria autostima.
16. Scienza e tecnica (bisogno di dominare l’ambiente). L’ambiente talvolta è ostile: vento, grandine, alluvioni, terremoti, eruzioni vulcaniche, malattie, animali feroci o nocivi, nemici, carestie, tutti questi agenti rappresentano altrettanti pericoli per l’uomo, il quale perciò cerca soluzioni. La scienza e la tecnica costituiscono una risposta dell’uomo alle sfide dell’ambiente.
17. Cultura generale (bisogno di comprendere le relazioni causali fra gli eventi). Stiamo parlando dell’aspetto strumentale della cultura, che è stato adeguatamente descritto da molti funzionalisti, fra cui Malinowski, e che ricalca un po’ quello che abbiamo detto al punto precedente. Tutto ciò che apprendiamo ci serve per controllare meglio la realtà che ci circonda.
18. Cultura letteraria (bisogno di affermare i propri gusti e le proprie idee). In una società avanzata chi ne è capace tende a rendere pubblico, in tutti i modi possibili (anche per iscritto), il proprio pensiero, allo scopo di diffondere e imporre le proprie idee, i propri sentimenti e i propri gusti, oppure per meritare l’ammirazione dei contemporanei e il plauso imperituro dei posteri, in una sorta di anelito verso un’immortalità che si può raggiungere attraverso il ricordo. Di norma però solo chi è ricco può disporre del tempo libero necessario per istruirsi e scrivere, oppure chi è mantenuto. E, in effetti, in un lungo passato, i letterati sono stati grandi signori o monarchi (Cesare, Augusto, Marco Aurelio) oppure personaggi vissuti nei palazzi o nelle corti, che hanno messo il loro genio al servizio di qualche potente, anche se non mancano esempi di letterati fra le classi medie, che, generalmente, hanno potuto avvalersi della generosità di facoltosi mecenati e filantropi.
19. Arte (bisogno di apparire). L’opera artistica contribuisce a migliorare l’immagine di chi la possiede, ma essa può realizzarsi solo quando c’è chi dispone di un’eccedenza di beni e non deve preoccuparsi per la propria sussistenza. Solo il ricco può avvertire il bisogno di ostentare il suo stato sociale con opere artistiche in grado di impressionare chi le guarda. “Fino al Settecento gli artisti dipendevano, sia per il reddito che per la reputazione, dalla protezione di re, aristocratici, patrizi ed ecclesiastici” (MAYER 1999: 177-8). Nessuna sorpresa dunque se la funzione dell’arte fosse quella di “celebrare Dio, il patrono, la dinastia, il regime, la classe e la nazione” (MAYER 1999: 177).
20. Commercio (bisogno di scambiarsi oggetti). Nessun uomo può mai produrre tutto ciò che desidera e perciò tende a scambiare ciò che ha in abbondanza con altri beni di cui è carente.
21. Libertà (bisogno di realizzare se stessi senza impedimenti). Ogni individuo prova piacere quando è capace di fissare liberamente i propri obiettivi e scrivere da sé il proprio progetto di vita, senza esserne impedito.
22. Legittimazione (bisogno di giustificare il potere). Quando un soggetto occupa un posto elevato nella scala sociale, vorrebbe che gli altri pensassero che il suo status sia pienamente meritato. Il bisogno di legittimazione assume particolare importanza nel caso del condottiero vittorioso, del conquistatore, che aspira a divenire sovrano delle popolazioni sottomesse.
23. Magia e religione (bisogno di certezze). “Per la maggior parte delle persone, in tutti i tempi e in tutte le culture, è necessario avere delle conoscenze, anche se sbagliate, piuttosto che non averne affatto” (BEATTIE 1978: 288). “La mente [infatti] non tollera il caos” (ABOU, SORGO 2001: 145) ed esige risposte certe, anche quando le sue conoscenze sono insufficienti. Scienza e tecnica non sono in grado di dare una risposta a tutto e c’è sempre qualcosa che sfugge al controllo dell’uomo, per esempio, la sfortuna e la morte. Magia e religione colmano questa lacuna, offrendo all’uomo la possibilità di dare una spiegazione ad ogni evento, indipendentemente dalle sue reali conoscenze. Uno dei modi abituali di esprimersi della religione è quello di pronunciare verità assolute. “Dogmatizzare è un mezzo per soddisfare una bramosia di «certezza»” (RADNITZKY 1997: 48). Nel fondamentalismo “l’incertezza non esiste” (THUROW 1997: 256).
24. Limiti umani (bisogno di redenzione). Dall’evidenza di non avere mai il pieno controllo delle situazioni e che gli è impossibile comportarsi in modo tale da avere sempre successo, l’uomo matura la convinzione di essere radicalmente inetto e di avere perciò bisogno di redenzione. Per superare i propri limiti, non gli resta che affidarsi alla speranza che un dio faccia qualcosa per liberarlo, affrancarlo, riscattarlo da questa terribile condizione, sì da acquisire il totale controllo del mondo e uno stato di felicità perpetua. Secondo Weber, ricchi e poveri vivono in modo diverso questo bisogno. I poveri sognerebbero un cambiamento dell’ordine attuale, magari grazie all’avvento di un messia, “che eleverà l’intera comunità dei paria dalla loro situazione di paria a quella di padroni del mondo” (1999 II: 188). Da parte loro i ricchi e i potenti, che si sentono già padroni del mondo, vorrebbero avere innanzitutto la certezza che la loro fortuna sia ben meritata (bisogno di legittimazione) e, secondariamente, la certezza che il loro status non finisca con la morte. Secondo Weber, solo i ricchi avvertirebbero il bisogno di “assicurarsi l’esistenza nell’al di là” (1999 II: 212).

Dai bisogni allo Stato
Nel loro compleso, i bisogni costituiscono la sostanza stessa dell’individuo e lo specchio della vita biologica e psichica. Quello che l’individuo è, il suo sistema percettivo e cognitivo, la sua volontà, il suo equilibrio mentale, i suoi interessi, le sue speranze, il suo stile di vita e la totalità del suo essere, tutto ciò dipende dal modo in cui egli riesce a interpretare e soddisfare i suoi bisogni. Ad un livello più generale, i bisogni possono misurare il grado di efficienza di uno Stato, lo Stato ideale essendo quello che offre, realmente, a tutti i cittadini, pari opportunità nel dare espressione e cercare una risposta ai propri bisogni. Se non partiamo dai bisogni, non possiamo comprendere l’individuo e, se non comprendiamo l’individuo, non possiamo comprendere lo Stato. Come ha correttamente spiegato Malinowski, il fondatore della Scuola funzionalista, ogni costume sociale, anche apparentemente bizzarro e inutile per chi lo osserva dall’esterno, risponde a precisi bisogni degli individui ed ha una sua utilità sociale, perché altrimenti non potrebbe continuare a esistere a lungo e si estinguerebbe immancabilmente (da MAIR 1980: 38).

La questione dell’egoismo
La prima e fondamentale legge della vita è che “gli esseri umani agiscono secondo i dettami del proprio interesse” (SIMON 1984: 149), perché i bisogni sono necessari e “cercano sempre soddisfazione” (DACQUINO 1994: 219). “L’uomo –osserva Gianfranco Cantelli– ha di mira sempre il proprio piacere, il proprio utile, il proprio bene e si adatta ad accettare e a promuovere il piacere, l’utile e il bene altrui, solo se questo è il mezzo necessario per realizzare il proprio tornaconto” (1987: 718). C’è però un problema: è opinione diffusa che soddisfare i bisogni significa essere egoisti. Ma è proprio vero?
La soddisfazione dei bisogni, almeno di quelli primari, è un preciso dovere che ciascuno di noi ha nei confronti di se stesso. A questa regola non sfuggono nemmeno gli asceti più estremi. Ogni uomo, infatti, deve avere un minimo di amore per sé, se vuole conservarsi in vita e in salute. “Se non amasse se stesso, non potrebbe amare nessun’altra cosa, poiché tutte gli vengono attraverso se stesso...” (SAVATER 1994: 203). Perfino la religione afferma che l’amor proprio è il primo dovere fondamentale di ciascuno verso se stesso. “I libri sacri dicono che l’amore per il prossimo sgorga dall’amore per sé. E le scienze psicologiche lo confermano: soltanto chi è padrone di sé può donarsi, perché ogni donazione nasce dall’autorealizzazione. Non ci si può fidare e affidare agli altri se prima non ci si fida e affida a se stessi e chi non è in grado di gestire i propri problemi non può certo aiutare l’altro a risolverli” (DACQUINO 1994: 222). L’egoismo è segno d’intelligenza e di buona salute. Il non-egoista avrebbe difficoltà perfino ad assicurarsi la sopravvivenza e non potrebbe essere di aiuto ad alcuno. E’ dunque scontato che siamo tutti egoisti: lo dobbiamo essere, è un fatto di natura. Tutto ciò che facciamo intenzionalmente “è essenzialmente uno sforzo verso un aumento di potenza” (NIETZSCHE 1994: 378). Solo dopo che abbia soddisfatto i propri bisogni, almeno quelli fondamentali, uno può mettersi al servizio degli altri. Insomma, non si può essere altruisti se prima non si è egoisti. L’egoismo diventa un male solo quando supera certi limiti o si concretizza attraverso l’uso strumentale di altri. Dobbiamo sfatare, dunque, e una volta per sempre, la pessima nomea dell’egoismo e rimuovere il suo fantasma dalla nostra mente.
Il problema, semmai, è che non siamo abbastanza egoisti, o non lo siamo veramente. Che cosa significa, infatti, egoismo se non agire a proprio vantaggio? E voi credete che un egoista sfrontato, un solipsista, sta facendo il suo vantaggio? Macché! Come spiegherò meglio nel capitolo seguente, egli sta semplicemente scavando un profondo fossato fra sé e gli altri e gettando le basi della sua rovina. Fare il proprio vantaggio significa coltivare al massimo le proprie potenzialità, migliorare se stessi, crescere ed elevarsi sotto ogni punto di vista, mettere a frutto i propri talenti, allo scopo ultimo di incrementare la propria autostima e l’ammirazione degli altri, pur senza provocare danno a terzi. Tutto ciò richiede la piena coscienza della propria dimensione sociale, una notevole dose di maturità ed equilibrio, un’attitudine a valutare i costi e i benefici di ogni comportamento, un esercizio continuo dell’intelligenza e della ponderazione, e rappresenta il massimo che si possa pretendere da un individuo.
C’è, insomma, una profonda differenza fra l’egoista puro e semplice, che sfrutta i propri simili senza riguardo e non fa niente per migliorarsi, e un egoista individualista, che impegna tutto il suo essere nell’affermare se stesso e nel mettersi al servizio degli altri, magari per averne il giusto riconoscimento. Si pensi all’inventore del telefono. La sua applcazione nello studio e nelle attività creative, il suo desiderio di esaltarsi e di stupire si sono trasformati in un servigio reso all’umanità, il suo egoismo si è tramutato in altruismo. L’egoista individualista non ama solo se stesso, né vuole prevaricare sugli altri o raggirarli al fine di appropriarsi delle loro cose. Egli, semplicemente, “cerca la gloria per mezzo della virtù [e] non chiede che ciò che gli spetta” (VAUVANERGUES 1989: 295).

Nota
Abitualmente il livello di soddisfazione dei bisogni si verifica per mezzo di alcuni indicatori, come la durata media della vita, la mortalità infantile, l’incidenza di analfabetismo e il reddito pro capite. A ben vedere si tratta di indici che misurano il grado di promozione e sviluppo dei singoli individui.

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